Il quiet quitting in Italia

19.03.2024

Nella sua consueta Employer brand research focalizzata sull'Italia, Randstad ha trattato in modo specifico il fenomeno del quiet quitting intervistando 160 mila lavoratori hi-tech e smart. Due i risultati che interessano molto questo articolo: i numeri del fenomeno e le aspettative dei suoi protagonisti.

Occorre specificare che cos'è il fenomeno del quiet quitting, in italiano ”dimissioni silenziose“. A differenza del fenomeno delle ”great resignations“, che ha toccato l'Italia solo marginalmente e con numeri che forse andavano interpretati meglio, le "dimissioni silenziose" hanno una solidità diversa. Non parliamo di lasciare il lavoro, ma di restare comunque impiegati in un'azienda lavorando soltanto il minimo indispensabile, spesso per un crollo di motivazione, senso e significato nel proprio lavoro. 

Le persone che rientrano in questo spettro si sentono ”disingaggiate“ o proprio ”attivamente disingaggiate“, perché percepiscono un conflitto tra i propri valori personali e quelli promossi dall'organizzazione. Questo produce una stagnazione che prelude al progressivo rallentamento della produttività dell'azienda. È interessante notare il fallimento delle politiche aziendali legate alle promozioni e agli aumenti di stipendio, che da sole producono solo un piccolo effetto, che si arresta quasi subito per un motivo psicologico abbastanza studiato e confermato: la perdita d'interesse verso un obiettivo quando questo viene raggiunto.

La ricerca risponde in modo inequivocabile:

  • il 60.5% degli intervistati necessità di un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata;
  •  il 57.5% chiede un'atmosfera di lavoro non tossica e più piacevole;
  •  il 54.5% si diceva chiede retribuzione e benefit “interessanti”;
  • il 51% maggiore sicurezza del posto di lavoro;
  • il 47% visibilità del percorso di carriera.

Le necessità dei freelance

Tra le richieste fondamentali e trasversali nella ricerca Randstad c’è quella di poter lavorare da remoto quanto più possibile. Un’istanza che accomuna tanto i dipendenti quanto i freelance. E date le condizioni del mercato immobiliare, per “lavoro da remoto” si intende quasi sempre uno stimolante servizio di coworking. 

Quella del coworking è una necessità connessa a diverse esigenze e che ha anche un’arma commerciale in più: quella di poter offrire una formazione orientata allo sviluppo nel settore tech. 

Un trend che da un lato aiuta l’engagement delle aziende nei confronti dei propri talenti e dall’altro incoraggia rapporti proficui con i freelance del settore, che possono aggiornarsi continuamente.

Due voci autorevoli sul presente e sul futuro

Indovinare i lavori del futuro, visto l’estremo e velocissimo sviluppo del tech e dell’intelligenza artificiale, è più un lavoro da alchimisti che da analisti. Non essendoci dati certi, dato che anche gli studi di settore arrivano a conclusioni spesso diametralmente opposte, è possibile ricavare un elenco di skills direttamente da due voci autorevoli.

La prima è quella di Luca Ferrari, ceo di Bending Spoons, intervistato da Riccardo Haupt di Will Media per il podcast Actually. In circa un’ora di colloquio, il ceo dell'azienda smart italiana con il fatturato più alto nel 2023 racconta dell’attenzione alle necessità dei suoi talenti, senza un particolare peso alle ore lavorate, ma con molta attenzione ai benefit: dalla palestra a numerose attività ricreative o legate al tempo dei e con i propri figli. 

E poi le skills: Ferrari racconta di aver costituito un comitato per le assunzioni che serve soprattutto a evitare i bias dei singoli recruiter nei confronti dei candidati. Ai quali si chiede soprattutto di risolvere questioni di logica, ma soprattutto di portare esempi di problem solving già affrontati in carriera o nella vita di tutti i giorni.

Un trait-d’union, questo, con un intervento pregnante all’ultima Italian Tech Week di Roberto Cingolani, ad e dg di Leonardo ed ex ministro della Transizione ecologica.

“La digitalizzazione massiccia di prodotti e della gestione aziendale - specifica Cingolani -  ha portato all’implementazione del digital, dell'ai e del concetto del cybersecure by design in tutte le aziende competitive, con l’uso di piattaforme trasversali. In questo modo la pervasività delle aziende digitali e la trasformazione delle stesse in aziende tech è stata velocissima”. 

Di conseguenza, dice Cingolani: “Ora un lavoratore nasce con una tech e prosegue la sua carriera almeno con altre 3 o 4 piattaforme pervasive che dovrà imparare a usare perché incidono sulla stessa supply chain”.

Questo porta a concludere che “i lavori dei prossimi 10-15 anni ancora non sono noti, ma quello che è sicuro è che i profili dei giovani sono probabilmente insufficienti rispetto allo scenario che si profilerà. Pensiamo a infermieri e medici che dovranno gestire interventi delicatissimi da remoto, per esempio, o agli avvocati che dovranno scrivere verbali, sentenze o rapporti con sistemi di linguaggio generativo, o magari effettuare perizie sull'uso degli stessi. La PA e l’hi-tech saranno tutte progettate digitalmente. Oggi non c'è ancora una formazione adeguata nei percorsi istituzionali”.

“Il suggerimento è quello di rivolgersi anzitutto alle materie Stem. L’ingegneria è più duttile; la fisica è la base per gli approcci di qualsiasi tipo scientifico; la chimica è la materia del secolo anche per la domanda di sostenibilità; la matematica e la logica sono le basi degli algoritmi. Queste sono appunto le basi culturali, non sufficienti. La trasversalità si impara e non si insegna a scuola. Cosa che è anche una buona notizia per chi deve convertire il suo approccio, usando corsi di formazione extrascolastici”.

Frecce nell’arco degli enti che proporranno, e propongono tuttora, una formazione specifica in contesti di apprendimento di grande qualità, informale, anche dal basso.

Fonti:

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